La scelta di un nuovo toponimo è sempre un atto di testimonianza memoriale e di responsabilità valoriale verso la comunità locale e le future generazioni. L’intitolazione del Parco di Baggio ad Albino Abico, partigiano ucciso alla fine di agosto del 1944, nell’ambito delle celebrazioni per l’Ottantesimo anniversario della Liberazione, porta con sé molteplici significati. Il suo nome va ben oltre la dimensione biografica locale divenendo, già durante la Guerra di Liberazione, emblema di innumerevoli battaglie politiche: dalle Squadre di Azione Patriottica (SAP), ai Gruppi di Difesa della Donna (GDD), fino ad arrivare al Partito Comunista Italiano (PCI). Nel corso di questo articolo cercherò di esplorare ciascuno di questi aspetti riflettendo sul loro significato e sul loro intreccio con l’attualità.

L’IMPORANZA DI ALBINO ABICO – Lascerò volutamente sullo sfondo la vicenda personale di Albino Abico, rimandando ad altre fonti i dettagli biografici. Ciò che desidero qui sottolineare è il ruolo cruciale che ricoprì, nell’agosto del 1944, nel panorama della Resistenza italiana. Ben lontani dall’essere semplici partigiani locali, Abico e il gruppo da lui guidato erano un riferimento strategico: un punto di contatto per l’organizzazione e la sopravvivenza delle formazioni Garibaldi. Fu una figura ponte tra il territorio dell’Ovest di Milano, legato alle grandi fabbriche e popolato da operai sensibili alle istanze antifasciste, e le strutture di comando stanziate tra i monti e le valli dell’Alto Verbano, nelle vicinanze di Intra, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. La sua azione dimostra come, nella lotta di Liberazione, ogni individuo possa assumere un ruolo decisivo in un sistema più esteso.

IL CONTESTO STORICO – Nell’estate del 1944, con il fronte in avvicinamento, Milano non era solo il cuore industriale del Nord, ma anche la “capitale finanziaria” della Repubblica Sociale Italiana e sede di diversi uffici chiave dell’occupazione tedesca. In questo contesto, il ruolo di Abico, costretto alla clandestinità in un ambiente di costante sorveglianza e pericolo, assumeva un’importanza doppia. Da un lato, era impegnato a mantenere operative le reti di collegamento, a far circolare informazioni, a favorire il trasferimento di uomini e armi; dall’altro, il suo legame con l’Alto Verbano — attraverso la provincia di Varese — si rivelava cruciale. Grazie alla prossimità con la neutrale Svizzera, quella direttrice garantiva un collegamento ravvicinato con gli Alleati, facilitando rifornimenti e piani di appoggio alle operazioni partigiane. [1]

IL “GRUPPO ASSIANO” – Alle dipendenze di Abico operava un piccolo nucleo partigiano con base presso la cascina Assiano, al confine tra Milano e Cusago. Il gruppo era composto da Giovanni Alippi, Maurizio Del Sale e Mario Negroni; più tardi si sarebbe unito anche Bruno Clapiz. Questa realtà, solo in apparenza periferica, costituiva in realtà uno snodo strategico: le sue azioni erano coordinate all’interno di un distaccamento urbano comandato da Ruggero “Nello” Brambilla, figura pionieristica del gappismo cittadino insieme ad Arturo Capettini. A sua volta, il distaccamento non operava in modo isolato: era ufficialmente inquadrato nell’85ª Brigata d’assalto “Valgrande Martire”, guidata da Mario Muneghina. Questa articolazione riflette bene il peculiare intreccio tra l’ingaggio locale e una strategia di più ampia scala. [2]

DA ABICO A MOSCATELLI – L’85ª Brigata d’assalto “Valgrande Martire” era parte della 2ª Divisione Garibaldi “Gianni ‘Redi’ Citterio”, operante nell’Ossola e comandata da Aldo Aniasi, che a sua volta rispondeva al primo Corpo d’Armata Garibaldi “Sesia–Ossola–Cusio–Verbano”, diretto da Eraldo “Ciro” Gastone e Vincenzo “Cino” Moscatelli. In altre parole, ciò che a prima vista poteva sembrare un piccolo presidio ribelle in una cascina di periferia era, in realtà, parte di un sistema organizzato della Resistenza che metteva in comunicazione due mondi: il gappismo urbano e la lotta garibaldina alpina, legata a figure di primo piano come Moscatelli. Il fatto che questa rete si estendesse fino al confine con la Svizzera dimostra come la Resistenza non fosse una semplice somma di focolai sparsi, ma un organismo complesso, in cui ogni nodo locale contribuiva all’efficacia dell’intera struttura europea.

IL GIORNO CHE HA CAMBIATO TUTTO – Lunedì 28 agosto 1944 segna una tappa dolorosa nella vicenda partigiana milanese. In quel giorno, in viale Tibaldi, all’altezza del civico 26, Albino Abico e i suoi compagni — Giovanni Alippi, Bruno Clapiz e Maurizio Del Sale — furono arrestati e sottoposti per ore a durissimi interrogatori da parte dei militi della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti. La sera stessa, dopo torture e sevizie, furono ricondotti sul luogo della cattura e trucidati senza pietà. Il fatto avvenne appena diciotto giorni dopo la strage di Piazzale Loreto (10 agosto 1944) in cui quindici antifascisti erano stati fucilati in un atto di violenza dimostrativa e terroristica. A conflitto concluso, l’eccidio di viale Tibaldi risulterà, per numero di vittime, la sesta strage compiuta all’interno del territorio comunale di Milano, a pari merito con altri quattro episodi di analoga entità. [3]

IL GRUPPO “CARLO MENDEL” – L’eco di quella mattanza era ancora viva nella coscienza collettiva, che non aveva nemmeno rimarginato la ferita lasciata dalla strage dell’Arena Civica, avvenuta il 20 dicembre 1943. In quell’occasione furono uccisi otto antifascisti, tra cui il partigiano Carlo Leone Mendel, che fu fonte d’ispirazione per lo stesso Abico nei primi mesi della Resistenza, dopo l’8 settembre. Fu proprio a Mendel che Abico volle dedicare il nucleo originario di un Gruppo locale – nel quale era coinvolta anche la partigiana Giuseppina, poi “Gianna” Tuissi – destinato a diventare, dopo eventi ancora da chiarire, il Gruppo Assiano: nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere un vero e proprio GAP baggese. Molto resta ancora da indagare su queste origini e sulle dinamiche interne di questo peculiare presidio partigiano. [4]

STAMPA CLANDESTINA CONTRO STAMPA DI REGIME – L’eco dell’eccidio di viale Tibaldi si propagò rapidamente in tutta Milano, nonostante il contesto drammatico della Guerra di Liberazione, segno di quanto fosse profonda la ferita inferta dal nazifascismo. La stampa clandestina diffuse la notizia fin da subito, nel tentativo di squarciare il velo di menzogne imposto dalla propaganda ufficiale: il Corriere della Sera, all’epoca al servizio dell’apparato repubblichino, definì i resistenti “terroristi” e “fuorilegge”. Contro questa narrazione diffamatoria, La Fabbrica — organo clandestino della Federazione milanese del Partito Comunista Italiano — si affrettò a denunciare l’eccidio dei quattro martiri di viale Tibaldi, restituendo loro dignità, memoria e verità. [5]

LA 113a SAP GARIBALDI “MARITI DI VIA TIBALDI” – L’impatto di quel gesto di sangue fu tale da imprimersi indelebilmente nella memoria collettiva dei patrioti milanesi. Già a partire dalla fondazione, nel settembre 1944, della 113ª Squadra di Azione Patriottica (SAP) Garibaldi, operante nel Settore Ticinese, il nome “Martiri di via Tibaldi” venne scelto come intitolazione ufficiale. In questo contesto, la decisione di dedicare ciascun distaccamento ai caduti dell’eccidio assunse un significato che andava ben oltre il semplice omaggio: il 5° Distaccamento fu intitolato a Giovanni Alippi, l’8° a Maurizio Del Sale. Si tracciava così un filo diretto tra la memoria e l’azione, tra il sacrificio dei martiri e la continuità della lotta partigiana. [6]

LA FAMIGLIA ABICO – Dietro la figura di Albino Abico non c’è solo un partigiano, ma un’intera famiglia: autentico motore dell’impegno antifascista nel quartiere di Baggio. Sin dal primo dopoguerra, gli Abico si erano distinti per le radici socialiste e l’attivismo politico. Antonio, il padre di Albino, trasmise ai figli la passione per la causa operaia e l’avversione al regime; i fratelli e le sorelle, a loro volta, fecero propria quella stessa sensibilità, impegnandosi nella propaganda clandestina e nel sostegno ai gruppi di opposizione. Uno sguardo all’elenco degli Abico sepolti a Baggio restituisce la dimensione collettiva di quell’impegno: Antonio, il padre, figura di riferimento nell’ambiente socialista; Giuseppe, fratello, operaio alla De Angeli Frua e attivo nella 112ª SAP Garibaldi, incaricato di diffondere stampa clandestina nello stabilimento; Maria, tra le esponenti più carismatiche del locale Gruppo di Difesa della Donna; Pietro, fratello, membro del 4° Distaccamento “Albino Abico” della 112ª SAP e primo segretario, nel dopoguerra, della sezione baggese del Partito Comunista Italiano; Anna Lisa, anch’essa sepolta a Baggio, a testimonianza di una memoria familiare interamente consegnata alla causa antifascista. [7]

LA CASA DI VIA SCANINI – Questa panoramica restituisce il ritratto di un’identità familiare profondamente radicata nella storia locale, strettamente intrecciata alle reti di solidarietà operaia, alle officine e ai movimenti della Resistenza urbana. Un punto di riferimento centrale di questa fitta trama antifascista era la loro abitazione al civico 27 di via Scanini, anch’essa protagonista di questa storia. Quel caseggiato, apparentemente anonimo, si era trasformato in un presidio clandestino per gli oppositori del regime e per le attiviste e gli attivisti di un quartiere che, rischiando quotidianamente, mantenevano in vita libertà e democrazia. Le stanze degli Abico divennero un luogo di accoglienza e un rifugio sicuro per chi doveva organizzare la fuga verso le montagne e, all’occorrenza, un nodo strategico per lo smistamento di informazioni, stampa clandestina e materiale bellico. [7]

IL GRUPPO DI DIFESA DELLA DONNA “ALBINO ABICO” – La memoria di Albino Abico è anche in grado di accendere un riflettore sull’avvincente storia della Resistenza femminile e sull’organizzazione dei Gruppi di Difesa della Donna (GDD). Il Gruppo di Baggio, originariamente intitolato al partigiano torinese Eusebio Giambone, il 13 dicembre 1944 aveva chiesto e ottenuto dalla responsabile del 3° Settore urbano di dedicare il Gruppo locale proprio alla memoria di Albino Abico. Oltre al gruppo baggese che, all’inizio del 1945, contava due iscritte e venti collegate, sappiamo che nel 3° settore Magenta/Ticinese si trovava anche un Gruppo “Giovanni Alippi” (con dodici iscritte e trenta collegate) e un Gruppo “Maurizio Del Sale” (con dieci iscritte e venti collegate) a testimonianza, ancora una volta, dell’eco che l’eccidio di Viale Tibaldi aveva avuto trasversalmente sull’antifascismo milanese. [8]

LA SETTIMANA DEL PARTIGIANO – Come dimostrano le testimonianze raccolte da Giuliana Cislaghi, tra i luoghi chiave della clandestinità femminile baggese c’era proprio la casa della famiglia Abico. Durante le perquisizioni e i rastrellamenti, una rete di donne animata da Maria Abico si adoperava per nascondere qui sbandati, renitenti e persone legate alla Resistenza. Anche la distribuzione della stampa clandestina avveniva in via Scanini, fra le mura della famiglia Abico. Tra il 14 e il 21 dicembre 1944, in occasione della “Settimana del Partigiano” promossa dai GDD, il Gruppo Abico raccolse complessivamente 1.040 lire. Questo risultato rappresentò la somma più consistente tra tutti i gruppi cittadini, superata solo dalle raccolte effettuate dai Gruppi delle operaie della Breda, della Falck e della Pirelli. [9]

LA PRIMA GIORNATA DELLA DONNA – L’8 marzo 1945 il Gruppo Abico aveva assunto l’audace responsabilità di prendere parte all’organizzazione, in totale clandestinità, della prima Giornata della Donna. Con manifestini incollati sui muri delle case del quartiere, le donne di Baggio avevano lanciato un invito alla lotta e alla solidarietà che restò esposto fino al pomeriggio, alimentando un’ondata di entusiasmo tra la popolazione stremata. All’alba di quel giorno, le partigiane del Gruppo baggese, insieme alle compagne dei Gruppi “Giani”, “Spera” e “Diego” e a centinaia di altre donne, si erano dirette al Cimitero di Musocco, decorando con fiori, nastri e bandiere le tombe dei caduti e leggendo i nomi delle combattenti deportate o uccise, dando voce a un dolore collettivo. Il corteo spontaneo si era spinto poi alla Prefettura, reclamando viveri e combustibile per tutte le donne milanesi e rivendicando il diritto di chi, in tempo di guerra, sopravviveva grazie alla solidarietà e alla determinazione. Quando la guerra era giunta al termine, il GDD “Albino Abico” annoverava circa venti donne attive, tra queste: Ida Deola Savoia, Maria Abico, Enrica Bassi, Carmelina Lovati, Carmela Ravelli ed Emma Quinteri. [10]

LA SEZIONE PCI “ALBINO ABICO” – Dopo la Liberazione, tra le macerie della guerra civile e l’uscita dalla clandestinità, il Partito Comunista Italiano di Baggio aveva raccolto l’eredità dei Gruppi di Difesa della Donna (GDD) e aveva dedicato la propria sezione proprio ad Albino Abico. Le prime riunioni si tennero alla Casa del Popolo di via delle Forze Armate 385; successivamente la sezione si trasferì in via Rismondo 91, per stabilirsi infine presso la Cooperativa in piazza Anita Garibaldi al civico 13, cuore pulsante della vita politica e sociale del quartiere. Nel verbale del terzo Congresso di Sezione, svoltosi il 13 e il 14 marzo 1954, dopo aver “chiamato alla presidenza onoraria i maestri del socialismo – Lenin, Stalin e Gramsci – e tutti i Caduti per il progresso e la liberazione dell’umanità” sono invitati a sedere alla presidenza effettiva i parenti dei partigiani caduti durante la Guerra di Liberazione: tra di essi ritroviamo Piero e Giuseppe Abico, insieme ai parenti di Mario Negroni e Maurizio Del Sale. [11]

LE INIZIATIVE DEL PCI BAGGESE – Nei successivi dieci anni, la Sezione Abico rimase un punto di riferimento per tantissime donne e uomini, tanto da diventare, nel 1962, la seconda sezione più numerosa di tutta la città di Milano (!), con circa 1.300 iscritte e iscritti, superata solo dalla “Libero Temolo”, la storica sezione di fabbrica della Pirelli, con 1.400 compagne e compagni. Questo straordinario successo riflette non solo l’eredità ideale di Albino Abico, ma anche l’impegno concreto nel territorio: iniziative culturali, conferenze, servizi alla popolazione, senza dimenticare l’importanza delle Feste dell’Unità, organizzate in stretta collaborazione con la locale Cooperativa, che divennero punto d’incontro per discutere di pace, dialogo intergenerazionale e coesione sociale. [11]

I MARTITI DI VIALE TIBALDI NELLA MEMORIA DEL PCI MILANESE – La volontà di tramandare il sacrificio delle quattro giovani vittime della repressione nazifascista si manifestò ancora una volta nella denominazione delle sezioni del Partito Comunista milanese. Accanto alla Abico di Baggio, infatti, si ricordarono le sezioni dedicate a Giovanni Alippi (Quarto Cagnino), a Maurizio Del Sale (Quartiere Olmi) e a Bruno Clapiz (Chiesa Rossa). Nella fase successiva, con la trasformazione del PCI in PDS, poi in DS e infine nel Partito Democratico, alcune furono perdute, ma altre mantenute a testimonianza del legame profondo tra memoria storica e rinnovamento politico che ha attraversato oltre mezzo secolo di storia italiana. [12]

L’ULTIMA LETTERA – Il richiamo alle parole di Albino Abico di fronte alla drammatica prospettiva dell’esecuzione, assumono qui valore di testamento morale: «muoio sereno e coll’animo tranquillo contento di morire per la nostra cara e bella Italia». In queste righe si condensa non solo il coraggio di un giovane partigiano, ma anche la sua piena consapevolezza di appartenere a una comunità più grande. Proprio come la casa di via Scanini, il GDD, il PCI, divennero luoghi di Resistenza e di speranza, così oggi il Parco di Baggio intitolato a questo nome possa riaccendere una consapevolezza storica, in larga parte sopita, restituendo alla memoria collettiva un filo interrotto. Per più di mezzo secolo, la comunità locale ha infatti custodito gelosamente il ricordo di Abico quale riferimento ideale e valoriale; tuttavia, oggi, quella memoria rischia di affievolirsi e opacizzarsi. [13]

DA BAGGIO A MUSOCCO – Chi desidera rendere omaggio personalmente ad Albino Abico può recarsi al Campo 64 del Cimitero Maggiore di Milano, denominato “Campo della Gloria”, dove riposano accanto a lui i suoi compagni (Bruno Clapiz, manufatto numero 72, Maruzio Del Sale 73, Giovanni Alippi 74, Albino Abico 75 e Mario Negroni 76). Allargando lo sguardo dalla complessità dei caduti in Viale Tibaldi e a Verbania riconosciamo la pluralità di voci che hanno fatto di Abico una bandiera, imponendo l’urgenza di dare spazio a tutte le testimonianze che hanno forgiato la nostra Resistenza e di custodire un ricordo condiviso, capace di ispirare le scelte delle generazioni future.

ALLARGARE LO SGUARDO – Concludendo, il Parco di Baggio, ora parco Albino Abico, non deve divenire solo un luogo dedicato al ricordo di un singolo personaggio: ma un elemento aggregante e collettivo di un’intera comunità di donne e uomini antifascisti, riaffermando la necessità di continuare a fare politica con lo stesso spirito di solidarietà e di giustizia sociale che aveva animato la Resistenza. La sua figura diventa così un nodo plurale in cui si intrecciano molteplici filoni di indagine: la dimensione politica e morale della Resistenza, il ruolo dei giovani nel conflitto, la costruzione dell’identità civile dopo la guerra, il rapporto tra memoria individuale e ricordo collettivo.

[1] Cuzzi, M. (2022). Seicento giorni di terrore a Milano. Vita quotidiana ai tempi di Salò.

[2] Borgomaneri, L. (2015). Li chiamavano terroristi. Storia dei Gap milanesi (1943-1945).

[3] Portale delle Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

[4] Strage dell’Arena Civica, 20 dicembre 1943

[5] La Fabbrica (numero 9, anno 2) – settembre 1944

[6] Fondo archivistico Corpo volontari della libertà Cvl (1943-1950). Istituto:Istituto nazionale Ferruccio Parri – Milano

[7] Cislaghi, G. (2005). Baggio antifascista. ANPI: Milano.

[8] Cairoli, R.; Fossati, R. & Migliucci, D. (2024). Vogliamo vivere! I Gruppi di difesa della donna a Milano, 1943-45.

[9] Noi Donne (numero 7, anno 1) – dicembre 1944

[10] https://www.stampaclandestina.it/?page_id=704&ilnumero=678

[11] Fonti private – Archivio PCI – Sezione Abico (Baggio)

[12] Pci di Milano Federazione – Archivio Storico Fondazione ISEC

[13] Ultima lettera di Albino Abico (28 agosto 1944). Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana