Al termine delle celebrazioni per l’Ottantesimo anniversario della Liberazione – a cui ho avuto l’onore di partecipare attivamente – ho voluto raccogliere alcuni appunti sparsi per custodirli a futura memoria, mia e di chi vorrà leggerli. Sono riflessioni a caldo, nate in pochi giorni, durante incontri, interventi e cerimonie che mi hanno portato da Meina ai quartieri milanesi di Figino, Quinto Romano, Quarto Cagnino e Baggio. Con questa raccolta desidero dare un ordine e un senso per conservare e condividere molteplici pensieri.
1. La prima riflessione sulla Resistenza è forse quella più ideale, meno ancorata a un ragionamento storiografico, ma è anche quella da cui scaturisce per me il suo fascino, il suo slancio e, in fondo, tutto il resto. In un’intervista del 1975, Vincenzo “Cino” Moscatelli, commissario politico delle formazioni Garibaldi della Valsesia, affermava: «Il partigiano, a differenza dei soldati degli eserciti regolari, con la propria conoscenza fa la differenza nell’azione. Il singolo partigiano sente di essere indispensabile e ha il massimo grado di autonomia». L’azione Resistente (di cui la Resistenza è l’espressione organizzata) è, prima di tutto, un atto umano e spontaneo: rompe la massa inerte del consenso e dell’inquadramento cieco verso un capo o uno status, e restituisce valore alla persona. Un valore che si traduce in cura per la propria comunità e per il proprio territorio sia esso globale o locale, sia esso montagna, pianura o città.
2. La parola «Resistenza» ha origini lontane: affonda le sue radici in movimenti locali del XVIII secolo, ma è nell’Italia liberale post‐unitaria che assume un significato preciso in ambito sindacale: furono infatti le «Leghe di Resistenza», antenate delle moderne categorie sindacali, a rivendicare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Nel 1904 in Italia si registrò il primo sciopero d’Europa e, a seguito delle lotte promosse dalle Camere del Lavoro nel 1907, Renato Brocchi pubblicò l’opera L’organizzazione di Resistenza in Italia. Solo a partire dal 1939 con le aggressioni militari della Germania il termine si universalizzò per indicare l’opposizione al nazifascismo nei Paesi occupati o collaborazionisti, venendo infine adottato in Italia a partire dal 1943, mutuato dall’esperienza della Résistance francese guidata da Charles de Gaulle.
3. La Resistenza al nazifascismo è un fenomeno intimamente legato all’identità europea – e in qualche misura globale – che coinvolse, con caratteristiche differenti, paesi come la Polonia, la Francia, la Jugoslavia, l’Albania, la Grecia e altri. Questo fenomeno abbraccia esperienze molto differenti tra loro, dalla reazione locale (arbegnuoc) all’aggressione militare italiana all’Etiopia fino alla Rosa Bianca a Monaco, con protagonisti come Hans e Sophie Scholl. Fu però solo dopo la guerra che Pietro Nenni attribuì alla «Resistenza» – con la R maiuscola – la precisa accezione di «Movimento di lotta politico-militare sorto in tutti i Paesi d’Europa contro i nazisti e i regimi da essi sostenuti durante la Seconda Guerra Mondiale». L’eredità di questa considerazione è forse quel monumento all’Europa dei diritti e delle libertà disegnata a partire dal Manifesto di Ventotene, per non dimenticare cosa accade quando si rinuncia alle tutele democratiche.
4. La Resistenza non si ferma al ricordo storico di un periodo passato: vive come valore morale, scelta consapevole di impegnarsi in battaglie etiche e civili di portata globale. Antonino Caponnetto esortava i giovani a diventare “partigiani di una nuova Resistenza”, quella della legalità e degli ideali civici, invitandoli a vivere con pienezza e impegno: «Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici, ma diventate partigiani di questa nuova Resistenza: la Resistenza dei valori, la Resistenza degli ideali». Dalla difesa dell’ambiente e della sostenibilità, alla lotta contro ogni forma di patriarcato; dalla rivendicazione dei diritti e delle tutele dei lavoratori, come dimostra l’iniziativa nata, proprio su impulso della CGIL, per la prossima campagna referendaria di giugno.
5. La Resistenza non è un capitolo chiuso della storia, ma un monito vivo, come ci ricorda Piero Calamandrei, in una celebre epigrafe datata 4 dicembre 1952 e posta nell’atrio del Palazzo Comunale di Cuneo per l’ottavo anniversario del sacrificio di Duccio Galimberti. Calamandrei, protestando contro la scarcerazione del criminale nazista Kesselring e le sue provocatorie richieste di un monumento in suo onore, volle incidere queste parole: «Lo avrai, camerata Kesselring – concludendo – Su queste strade, se vorrai tornare ai nostri posti, ci ritroverai morti e vivi, collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza». Quel «morti e vivi» ci ricorda non solo di onorare ogni anno i caduti, ma anche di celebrare chi, sopravvissuto a quell’esperienza, ha fatto della propria vita un vero monumento di esempio per le generazioni future. Donne e uomini come Giovanna Beltramini, Giuseppe Dozio, Emma Fighetti Quinteri, Felice Valtorta, Loris Vegetti e tante altre e altri ci hanno insegnato, a livello locale, il valore di quella stagione e di quella scelta.
6. La Resistenza è da considerarsi dunque un movimento non solo militare, ma anche politico e civile. Accanto alle formazioni armate riunite, dall’estate 1944, nel CVL – l’esercito partigiano – dobbiamo porre i CLN, meno indagati dalla storiografia post‐Liberazione, eppure fondamentali come sintesi e collante con la popolazione. Basti pensare al ruolo di Alfredo Pizzoni come collettore dei rapporti tra finanza e Alleati nella Milano occupata. Le azioni di guerra non avrebbero avuto senso senza il contributo di quella pluralità di gruppi che costruirono le organizzazioni locali clandestine, dotandole di strumenti e reti di supporto sul territorio. È la stessa pluralità che vediamo concretizzarsi nei numerosi Comitati di Liberazione – cittadini e rionali – nati in ogni quartiere: ancora una volta un rifiuto dell’accentramento, della massa, a favore di un decentramento libero e democratico, l’embrione dell’Italia che sarebbe venuta.

Composizione del Comitato di Liberazione Nazionale rionale di Quarto Cagnino al 12 ottobre 1945. Si noti la compartecipazione dei partiti insieme alle rappresentante dell’UDI e del FdG. Da Archivio Istituto Nazionale “Ferruccio Parri”, Fondo CLN, b.6, fasc. 36/35.
7. La Resistenza fu un movimento intrinsecamente plurale, in cui tutti i partiti — in un’Italia da troppo tempo privata di spirito critico — assunsero un ruolo guida. Quartiere dopo quartiere, gestirono il territorio fino alle elezioni del 1946, facendosi carico delle necessità dell’amministrazione locale. In questi gruppi collaboravano, su un piano di parità, azionisti, comunisti, democristiani, liberali, socialisti e, in alcuni casi, persino monarchici. Accanto a loro, contribuirono attivamente anche le rappresentanze dell’Unione Donne Italiane (UDI), evoluzione dei Gruppi di Difesa della Donna (GDD), e del Fronte della Gioventù (FdG), nato dall’elaborazione di Eugenio Curiel. Tutti insieme cooperarono in un unico fronte di ricostruzione e di rinascita democratica.
8. Nella complessità della Resistenza, accanto ai CLN rionali, va ricordata anche la presenza capillare delle cooperative edificatrici e di consumo e delle parrocchie. Queste realtà storiche non vanno viste in contrapposizione, bensì come elementi di una comune co-presenza. Queste strutture sociali, profondamente radicate nei nostri quartieri, non si limitano a esistere accanto ai movimenti sociali e agli scioperi del primo Novecento, ma ne sono parte viva: elaborano risposte, sostengono le lotte, contribuiscono a dare forma a quella cultura di resistenza da cui, come abbiamo ricordato, nasce l’uso moderno del termine “Resistenza”. In particolare, le cooperative si rivelarono vere e proprie fucine di antifascismo, di cultura democratica e di formazione civica. Un antifascismo che, dobbiamo ricordare, nacque proprio con il fascismo stesso, nelle violenze scatenate a partire dal 1919 contro lavoratrici e lavoratori già impegnati in quelle prime forme di opposizione e la cui prima vittima in Italia è Teresa Galli.
9. La Resistenza continua dunque ad affascinarci e ispirarci non solo come un capitolo della nostra storia, ma come un impegno quotidiano, politico e personale. Se ottant’anni fa si combatteva con le armi e la clandestinità, oggi le nostre “Resistenze grandi e piccole” si manifestano nelle scelte di ogni giorno: difendere l’ambiente, promuovere la giustizia sociale, educare al pensiero critico nelle scuole, sostenere il lavoro dignitoso, far crescere comunità inclusive. È in questi gesti, nelle nostre parole e azioni, che si rinnova lo spirito di chi, ieri come oggi, ha saputo trasformare la speranza in realtà. Coltiviamo dunque le nostre resistenze quotidiane, perché è lì, nella costanza di un’idea e nella forza di un gesto, che prende vita la vera Liberazione.