L’edizione estiva di quest’anno di AscoltAMI è speciale. Già a partire dal titolo: Grazie Francesco, benvenuto Leone! Evidenzia un epocale passaggio di testimone. Il nostro direttore don Carlo Stucchi, ha raccolto l’idea di confezionare un numero speciale tutto dedicato al nuovo Pontefice. In ognuno degli articoli la redazione ha messo in luce il carattere più intimo del proprio impegno professionale e sociale. Nella rubrica curata da me, intitolata “Historia Magistra Vitae”, la riflessione è tutta dedicata alla Public History e alla professione del Public Historian. Buona lettura!

Nel crocevia tra ricerca accademica e impegno civico si colloca il mio lavoro, il public historian: lo storico che traduce il passato in chiave accessibile e partecipata, ponendosi al servizio della comunità. Tante volte, su queste pagine, ho raccontato a voi lettrici e lettori le mie appassionanti ricerche e quelle della mia associazione, PopHistory. Come avrete capito non ci limitiamo ad essere meri divulgatori, ma mediatori culturali che ascoltano memorie, raccolgono voci, animano archivi e anniversari, accompagnano processi di riconciliazione e promuovono la costruzione di identità condivise. La nostra missione è profondamente radicata in una vocazione alla pace

Fin dagli albori della professione, negli anni Settanta del Novecento, i Public Historian americani hanno posto l’accento sul ruolo pubblico e sulla missione civica della storia: non più disciplina elitaria, confinata alle facoltà universitarie, ma strumento di coesione sociale, di dialogo intergenerazionale e di inclusione. In Europa, questo modello si è declinato in progetti di storia condivisa, ad esempio, lungo i confini della cosiddetta Cortina di ferro, nel recupero delle memorie minoritarie (rom, migranti, opposizioni politiche) e nello sviluppo di percorsi didattici nei quartieri periferici delle grandi città.

Nel solco della dottrina sociale della Chiesa, che Papa Leone XIV ha più volte richiamato nei suoi discorsi inaugurali, invitandoci a essere costruttori di ponti tra culture, fedi e generazioni, il public historian assume un ruolo di responsabilità: educa al rispetto delle diversità, difende la dignità umana là dove è esposta a violazione, promuove la custodia del creato attraverso il recupero del patrimonio materiale e immateriale. Non a caso, gran parte dei progetti più riusciti s’inserisce in percorsi di storia dell’ambiente o di storia dei diritti, in dialogo con le comunità locali e con le istituzioni ecclesiali e civili. In poche parole: ha a cuore il presente. 

Il lavoro del public historian è dunque un vero e proprio atto di pace, perché si basa sull’ascolto e sulla sincerità: nell’Italia post-bellica, per esempio, la Repubblica Federale Tedesca, attraverso il “Fondo italo-tedesco per il futuro”, ha finanziato l’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia o l’Albo degli Internati Militari Italiani; potendo così ricostruire con rigore ciascuna delle tragedie umane e restituendo dignità alle vittime e promuovendo un percorso di riconciliazione europea. Analogamente, in tanti ambiti urbani (dalle periferie milanesi a piccoli borghi dell’Italia rurale) i public historian collaborano con parrocchie, scuole e associazioni laicali per ricostruire memorie di emigrazione, industria e lavoro, offrendo alle nuove generazioni, spesso troppo distratte dall’effimera comunicazione social, un senso di appartenenza e di futuro.

L’impegno civico del public historian entra così in risonanza con il Magistero pontificio: si tratta di tradurre le “vie di pace” suggerite da Papa Leone XIV in progetti concreti, capaci di mettere in rete archivi, musei, scuole, parrocchie e privati cittadini. Diventano allora fondamentali iniziative di storia partecipata in cui le testimonianze orali si raccolgono accanto agli archivi di famiglia, i laboratori didattici s’intrecciano con i percorsi turistico-religiosi, e i festival della memoria dialogano con le piazze digitali e con l’Intelligenza Artificiale.

In questo contesto, la professionalità del public historian, fondata sulla rigorosa ricerca delle fonti, ma aperta ai metodi multimediali e alla narrazione immersiva, assume un valore pastorale: non è soltanto un mestiere, ma una vocazione alla costruzione di ponti tra passato e presente, tra individui e comunità, tra fede e società. Come ricorda Sant’Agostino, «Ama e fai ciò che vuoi»: se si ama davvero la verità e la dignità di ogni persona, ogni opera di memoria diventa strumento di pace e di speranza.